In questi giorni si sta svolgendo qui a Torino il Forum Internazionale sull’accessibilità al patrimonio culturale.
Si tratta di un evento inserito all’interno di una iniziativa più ampia ,Torino verso una Città accessibile – Torino Design of the city 2018, che vuole sensibilizzare e coinvolgere i cittadini al tema della fruibilità della cultura, raccogliendo molte iniziate che concretamente daranno la possibilità di accedere alla cultura in modo più inclusivo.
Il Forum in particolare , dà spazio, tra le altre cose, ad esperienze concrete realizzate in una visione accessibile ed inclusiva. Protagoniste città italiane e straniere, con risalto a diverse iniziative che sono di sicuro interesse: da Montreal ad Alba, passando per Copenaghen e Fabriano. Quest’ultima peraltro, sarà la sede del XIII Annual Meeting delle Città Creative dell’Unesco.
Un nuovo approccio
Fra i diversi spunti di riflessione emersi durante le presentazioni, vorrei condividerne con voi uno in particolare, perché, più che il solito aggettivo da utilizzare, lo considero come parte integrante del mio modo di approcciarmi alla progettazione.
Il termine è olistico. Che detto così ha da subito un’aria molto newage da terapia medica alternativa e ambienti inondati di incensi ( con rispetto per la disciplina, che non conosco e che non è mia intenzione valutare)
In realtà questa parola deriva dal greco e vuol dire semplicemente “tutto”.
Si utilizza generalmente per intendere che ci si riferisce ad un tutto, non si divide, si guarda l’insieme e l’interazione fra le parti di questo insieme. Anzi : separare le parti risulta addirittura dannoso.
Nel nostro caso, durante questi incontri si è parlato di “approccio olistico al concetto di accessibilità”
Accessibilità olistica
Il pensiero che ne è emerso è quindi quello di invitare a pensare l’accessibilità con un approccio olistico, non a compartimenti stagni. In questo modo si moltiplicano le soluzioni e si allarga la possibilità a tutti di usare gli spazi più agevolmente , ognuno di noi nella propria diversità.
Nella tanta strada, ma non ancora al termine, fatta dalla progettazione inclusiva, si è rivelato sempre più evidente che realizzare degli spazi agevoli per tutti è un vantaggio per la comunità. Non solo per chi ne ha più direttamente necessità.
Se per entrare in una biblioteca non devo passare due portoni pesanti e una rampa di scala magari è più semplice non solo per chi si deve spostare in carrozzina, ma anche per chi si è rotto un piede sciando ( e visto che è a casa un po’ di libri li può leggere) o per la mamma che ci può portare il bimbo in braccio e uno per mano.
Naturalmente il concetto vuole indirizzarci verso soluzioni funzionali ed esteticamente stimolanti ( si può fare) : fare la rampa in cemento vale come un 6 risicato a scuola. Con la rampa siamo a posto con la normativa, ok. Ma si può fare di meglio.
Siamo tutti diversi
Pensare spazi accessibili con una visione olistica quindi, ci porta verso soluzioni che possono risolvere la mobilità di tutti. Si estende il campo di azione.
Possiamo stare più insieme, spostarci insieme, guardare una mostra insieme. Senza dover fare una selezione severissima tra il “lì ci posso arrivare” ma “lì no”.
Che a pensarci si fa in fretta a sentire il bisogno di spazi più comodi: come si diceva prima, basta un passeggino, il piede rotto o l’anca un po’ sciancata per avere la sensazione di dover organizzare i percorsi con una precisione da generale in battaglia.
Alla fine qualcuno rinuncia.
Secondo me, pensare che nel 2018 qualcuno sia costretto a sentirsi limitato nell’utilizzo di servizi basilari come la cultura e la sua fruizione, può essere un buon incentivo a orientare il lavoro dei professionisti coinvolti verso soluzioni creative: nel senso più inclusivo del termine.
Forum internazionale sull’accessibilità al patrimonio culturale ( 16-17 ottobre 2018 – Torino)
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